Marco Boato - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||
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Trento, 30 gennaio 2013 Per i lettori più giovani la strage di Ustica (27 giugno1980) si confonde in un lontano, indistinto passato fatto di una sequenza di eventi tragici rimasti senza risposta, senza verità, a cavallo tra il 1969 di Piazza Fontana e il 1980 della strage della stazione di Bologna, e oltre, fino alle stragi di mafia dei primi anni ’90. Per i lettori più anziani, è ancora una delle ferite aperte di una stagione di misteri, di massacri senza colpevoli di una scia di lacrime e sangue, che ha segnato nel profondo intere generazioni. Uno Stato che veniva al tempo stesso attaccato nelle sue vittime civili (ma anche nei suoi servitori più fedeli) e che, in altre sue articolazioni istituzionali, risultava complice nei silenzi, responsabile di depistaggi e omertà, occultamenti e denegata giustizia. Ora, quasi 33 anni dopo, sulla strage di Ustica si è aperto uno squarcio di verità e di giustizia. Non da parte della giustizia penale (che sta ancora indagando, con i pubblici ministeri Amato e Monteleone alla Procura di Roma), ma da parte del supremo vertice della giustizia civile, la Corte di Cassazione, che con una sentenza ha finalmente cominciato a rendere giustizia ai parenti delle vittime e alla memoria delle vittime stesse: 81 morti inabissati nel mare di Ustica, poco prima dell’arrivo all’aeroporto di Palermo, ignari passeggeri qualunque di quel volo del DC-9 dell’Itavia. Fra quei passeggeri c’era anche il mio amico Alberto Bonfietti, che aveva studiato Sociologia a Trento e poi, laureatosi, si era trasferito a Mestre. Da Bologna quel giorno era partito per andare a festeggiare a Palermo il compleanno della piccola figlia Silvia (oggi sposa e madre): il suo corpo non è neppure stato più ritrovato. Una lapide lo ricorda nella tomba dei genitori nel cimitero di Mantova. Quando, nel 1987, fui eletto senatore di Trento, presentai un disegno di legge per istituire quella che fu chiamata la «Commissione sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi e sul terrorismo in Italia», da tutti poi conosciuta come «Commissione Stragi». L’Italia è l’unico Stato al mondo ad aver avuto un simile organismo parlamentare, e già solo questo la dice lunga sullo stato della giustizia nel nostro Paese, riguardo a quella catena di sangue e di morte, che l’ha attraversato per decenni (chi chiamava al telefono la segreteria a Palazzo S.Macuto, si sentiva tranquillamente rispondere: «Stragi»…). Di quella Commissione parlamentare d’inchiesta feci parte per quattro anni, fino al 1992, e, oltre che di Gladio, caso Moro e terrorismo (anche in Alto Adige, di cui fui relatore), per anni ci occupammo anche della strage di Ustica. Facemmo un lavoro durissimo di indagine e documentazione, di interrogatori (con gli stessi poteri dell’autorità giudiziaria) di tutti i principali vertici militari (soprattutto dell’aeronautica) e dei servizi segreti. Avemmo molti consulenti tecnici, per tutti gli aspetti assai complessi dell’inchiesta, e tra questi anche il magistrato Rosario Priore, il quale, ad un certo punto, lasciò la Commissione per assumere in prima persona il ruolo di giudice (succedendo a Bucarelli) titolare dell’inchiesta giudiziaria, potendosi avvalere dell’immane lavoro che insieme avevamo fatto nei primi anni (lui poi concluse l’istruttoria nel 1999). Ora la Corte di Cassazione civile, nella sua sentenza, ha scritto finalmente che la tesi secondo cui fu un missile ad abbattere il DC-9 dell’Itavia «è abbondantemente e congruamente motivata». Era la tesi (allora, l’ipotesi d’indagine) su cui a cavallo tra il 1988 e il 1992 avevamo lavorato nella Commissione Gualtieri (dal nome del presidente della prima fase) in modo sistematico, ma trovando un muro di silenzi e di omertà nelle autorità militari. «Un muro di gomma», si intitolò non a caso il bel film che sulla strage di Ustica fu realizzato nel 1991 da Marco Risi, presentato alla Mostra del cinema di Venezia, a cui assistetti con Silvia Bonfietti, ormai cresciuta, e con Daria Bonfietti, la sorella del sociologo Alberto, che era divenuta, ed è tuttora, la presidente della Associazione dei familiari delle vittime. E l’anno precedente era uscito il volume collettaneo «Ustica. La via dell’ombra», con la coraggiosa presentazione di Antonio Giolitti, su tutti gli aspetti delle varie indagini (anche amministrative), e il cui principale capitolo si intitolava proprio «È stato un missile». Ma, mentre la giustizia penale concludeva i suoi processi con sistematiche assoluzioni degli imputati militari, fu solo nel 2007 che il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga (che era stato Presidente del Consiglio nel 1980) volle rompere il muro di omertà, interno e internazionale, affermando in un’intervista di essere certo che a colpire il DC-9 dell’Itavia sui cieli di Ustica era stato un missile francese (e ancor ora sono in corso le rogatorie con la Francia della magistratura romana). Ora la Corte di Cassazione civile ha squarciato anche sul piano giudiziario il «muro di gomma», mentre soltanto l’ex-ministro Carlo Giovanardi continua anche in questi giorni a ribattere, impenitente, che invece si sarebbe trattato di una esplosione causata da una bomba a bordo dell’aereo, di cui in verità non si è mai trovata la benché minima traccia, anche quando fu recuperata la carcassa del velivolo dal fondo del mare (ora esposta in un apposito Museo a Bologna). Dunque, com’era risultato chiaramente anche dalla nostra inchiesta parlamentare e poi dall’indagine giudiziaria condotta dal giudice Priore, quella sera sui cieli di Ustica c’era stato un vero teatro di guerra, tra caccia francesi e aerei libici (uno dei quali volava a ridosso del DC-9 dell’Itavia), nello scenario dello scontro militare con Gheddafi (dirottato precipitosamente per evitare l’agguato). Solo così si spiega il silenzio anche degli americani, che avevano un aereo radar Awacs che stazionava sulla verticale dell’isola d’Elba, e la complicità delle nostre autorità militari, che non volevano sconfessare uno Stato alleato. Ma l’allora ministro dei Trasporti, Rino Formica, questa verità l’aveva saputa quasi subito dal generale Rana del Registro aeronautico e aveva cercato di dirla, tre mesi dopo, nell’aula del Senato, quando imperversava la tesi incredibile del «cedimento strutturale» dell’aereo (tesi che portò allo scioglimento irresponsabile della compagnia Itavia, che invece era del tutto innocente). Quando crollò questa tesi fantasiosa, subentrò quella ancora più fantasiosa di una bomba esplosa a bordo (a cui solo Giovanardi sembra ancora credere). Ma fu la Commissione parlamentare d’inchiesta a cominciare a fare luce sullo scenario di guerra, seguita dalle indagini del giudice Priore. Il quale non a caso ora commenta: «C’era stato un attacco aereo che per errore colpì il DC-9, non una bomba esplosa all’interno». E conclude: «Questo può essere il punto di partenza per raggiungere la verità storica». Ora verità storica e verità giudiziaria, 33 anni dopo la strage di Ustica, cominciano finalmente a coincidere. Marco Boato
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